Battesimo del Signore

Battesimo del Signore

Dom, 10 Ene 21 Lectio Divina - Año B

Finora Marco non ha presentato Gesù in persona, ma lo ha messo sullo sfondo della predicazione del Battista alla gente che accorreva a lui dalla Giudea per farsi battezzare. La tradizione evangelica ha colto la grande importanza di ciò che accadde, quando anche Gesù andò a farsi battezzare da Giovanni. Tutti gli evangelisti riferiscono che il quel momento Gesù ha ricevuto una manifestazione divina che lo ha designato come il Figlio prediletto inviato dal Padre, con un’investitura messianica.
A partire da questa manifestazione dello Spirito cominciò a rivelarsi il Vangelo di Gesù. La parola “Vangelo”, per Marco, non indica solo l’annuncio fatto da Gesù che il Regno è presente, ma anche che la lieta notizia è Gesù stesso: è il Messia, il Figlio di Dio; la salvezza è racchiusa nel fatto che questo Gesù è il Figlio di Dio.
Marco in questa pericope evangelica mette in scena quattro personaggi: Giovanni, Gesù, lo Spirito e il Padre! Tutti in relazione e in funzione di Gesù. A ben leggere questo testo, vi scorgiamo la prima grande rivelazione del mistero della Trinità. Giovanni ne è il testimone e l’annunciatore qualificato e i credenti ne sono i destinatari, per l’evento Cristo che lo Spirito Santo donato da Gesù opera in ogni battezzato.

Giovanni
v.7:
Giovanni proclamava: dopo di me viene Colui che è più forte di me e io non sono degno di chinarmi e sciogliere il legaccio dei suoi calzari.
Giovanni adempie la sua missione vera e propria con l’azione del più forte che verrà dopo di lui. In questo il più forte che verrà dopo di lui Marco intende il Messia, il Salvatore, che compirà ciò al quale il Battista sul Giordano poteva solo servire come preparazione, cioè il Battesimo nello Spirito Santo.
La grandezza di Colui che gli viene incontro rende evidente al Precursore la sua propria indegnità e piccolezza; egli sa di non essere nemmeno degno di compiere verso di lui l’ufficio del servitore. Quanto all’affermazione del Battista: io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari, l’esegesi ci permette un approfondimento. Il testo di riferimento è Rut 4,7-8 (Anticamente in Israele vigeva quest’usanza in relazione al diritto di riscatto o alla permuta: per convalidare un atto, uno si toglieva il sandalo e lo dava all’altro. Questa era la forma di autenticazione in Israele. Allora colui che aveva il diritto di riscatto rispose a Booz:  Acquistatelo tu. E si tolse il sandalo): il costume riportato di slacciare o togliere il sandalo equivale a sancire un contratto di acquisto, di riscatto, a cedere un diritto di proprietà. Se è così, quello del Battista non è solo un atto di umiltà di fronte a Colui che è il più grande, ma, molto di più: è la cessione di ogni diritto su Israele e l’umanità che attende la salvezza. Giovanni non ne è degno e si ritira totalmente nell’ombra; cede il passo al Salvatore: gli riconosce il diritto della Nuova Alleanza che si compie.

v.8: Io vi ho battezzato nell’acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo.
Il metro con cui Giovanni misura se stesso e Colui che verrà dopo di lui è quindi l’opera affidata da Dio: mentre egli battezza solo con acqua, l’Altro con lo Spirito Santo.

Gesù
v.9: In quei giorni Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano.
Il velo del mistero copre ancora la persona di Colui che viene annunciato, ma già ci imbattiamo nel nome. Il versetto del Vangelo ci dice infatti che Gesù venne da Nazareth di Galilea. È importante questo, perché vi sentiamo risuonare la professione di fede della Chiesa primitiva: questo Gesù è il Figlio diletto e unico di Dio ed egli venne da Nazareth né più né meno che come tutti gli altri peccatori per farsi battezzare. Colui che non aveva conosciuto peccato (2Cor 5,21) partecipò al movimento di conversione del suo popolo. Oh, umiltà e solidarietà del Figlio di Dio!
L’evangelista dice: venne in quei giorni. Ecco, sono giorni comuni, ordinari, inseriti nel quotidiano scorrere del tempo sempre uguale. Inoltre dicendo venne da Nazareth di Galilea, l’evangelista, al suo essere uomo come gli altri, dice la sua residenza, Nazareth, un villaggio oscuro, mai menzionato nella scrittura, insignificante, i cui abitanti erano considerati come ai margini dell’ebraismo, più pagani che ebrei. Marco, in mezzo versetto descrive bene l’abbassarsi del Figlio di Dio, la sua Kenosi, (Fil 2,7) come la chiama Paolo. Fin d’ora Marco vuol raccontare la vicenda di Gesù per  costringerci a pensarlo nell’umiltà e nella sofferenza. È la sua tesi centrale. Già questo testo del battesimo è molto significativo. Colloca la vocazione messianica di Gesù nella linea del Servo di Yavhè di cui parla Isaia: un progetto di salvezza che passa attraverso l’umiliazione, il servizio e la sofferenza.
Marco vuol dire: quel Gesù di Nazareth, che si è mescolato tra i peccatori, che ha condotto una vita umile e sofferente fino alla croce, è il Messia, è il Figlio di Dio, a nostro favore.
Gesù fu battezzato da Giovanni: Giovanni era lui che faceva le abluzioni e immergeva nell’acqua i penitenti. Gesù semplicemente accoglie l’uso di quest’abitudine del Battista, e "non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio" (Fil 2,6). Egli chiese il battesimo a Giovanni, solidale con noi peccatori, perché in lui potessimo diventare giustizia di Dio (2Cor 5,21).

Lo Spirito Santo
v.8: … Egli vi battezzerà nello Spirito Santo.
È il riconoscimento della cessione del diritto della Nuova Alleanza: il dono dello Spirito. Gesù non è per sé, ma per noi! La sua prerogativa, la pienezza dello Spirito non è solo per lui, ma riguarda anche noi, è per noi.
È impossibile non far riferimento qui al nostro Battesimo, alla grazia ricevuta all’inizio, che dobbiamo custodire ed accrescere responsabilmente, nella libertà dell’amore, fino a che lo Spirito riproduca in noi la somiglianza con Cristo.

v.10: E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere sopra di lui come una colomba.
Lo squarciarsi del cielo è un linguaggio simbolico dell’Antico Testamento: indica l’uscita di Dio dalla trascendenza che gli è propria e la sua rivelazione agli uomini. Ma si avvicina anche e soprattutto all’intensa attesa della venuta di Dio di Isaia: “Ah, se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (63,19). Con ciò l’evangelista indica che con Gesù i cieli sono squarciati, il cielo e la terra sono in comunicazione, aperti per sempre. La discesa di Dio si compie, adesso, su Gesù e si rende visibile dal modo in cui lo Spirito discende su di lui e contraddistingue il Messia, poiché su di lui si poserà lo Spirito del Signore (Is10,45) in pienezza. Il simbolo della colomba rinvia a Gen 1,2, quando, nella creazione, lo Spirito intervenne per riordinare il caos primitivo; e interviene anche ora per operarvi la nuova creazione che ha inizio con il battesimo di Gesù. Ciò richiama bene anche la presenza efficace della salvezza o grazia divina nei credenti. È su questo Gesù che hanno luogo quelle dichiarazioni incredibili da parte della voce di Dio.

Il Padre
v.11: E venne una voce dal cielo: “Tu sei il mio Figlio amato: in te ho posto le mie compiacenze”. Il verso mette in scena la persona del Padre, di cui si ode la voce dal Cielo. Se Gesù è il rivelatore del Padre, qui il Padre è il rivelatore di Gesù!
Il Padre si rivolge senza intermediari a Colui che lo Spirito ha indicato e riempito di sé: “Tu sei il mio Figlio amato”. Ma, perché “mio Figlio” e non “mio servo?” Il termine non è casuale, ma un’interpretazione espressamente voluta. Gesù infatti è l’uno e l’altro: egli è il servo di Isaia, perché con perfetta obbedienza portò a compimento la divina missione, fino alla morte espiatrice per la salvezza della moltitudine; ma è anche il Figlio diletto, al quale il Padre darà la stessa testimonianza sul Tabor. Il Messia è insieme il servo sottomesso e sofferente e il Figlio diletto.
È sapendo tutto questo che dobbiamo ascoltare e meditare il seguito del racconto evangelico; ciò è illuminante per comprendere l’atteggiamento assunto da Gesù-messia, sempre obbediente fino alla morte espiatoria e sempre in intima amicizia con il Padre e pieno dell’autorità divina.
Marco usa con parsimonia il titolo di “Figlio di Dio”. Ma in punti altamente significativi: all’inizio, qui nel Battesimo, sul Tabor, e ai piedi della croce da parte del Centurione.
All’inizio (1,1): inizio di una presenza umile, che solo alla fine si rivelerà in tutta la sua pienezza; al Battesimo (1,11), in cui la vocazione messianica di Gesù è sulla linea del servo di Yavhè; alla Trasfigurazione (9,7): dopo l’annuncio della Passione, con lo scopo di rivelare in anticipo che la croce racchiude la risurrezione; e ai piedi della croce (15,39), quando proprio di fronte a Gesù morente il Centurione si converte e professa la sua fede in Lui.
Nelle parole rivolte a suo Figlio, Dio non parla direttamente alla comunità cristiana; questa sarà raccolta e formata da Colui che è consacrato dallo Spirito, la chiamerà a credere in lui e a seguirlo! Ma la comunità cristiana vi è tutta implicata, perché il Padre dona lo Spirito a Gesù anche per essa. Non si può infatti dissociare il battesimo di Gesù da quello che ricevono i discepoli, perché Colui sul quale rimane lo Spirito è Colui che lo dona senza misura, affinché gli uomini diventino Dio per partecipazione.