Lun, 04 Sep 23 Lectio Divina - Año A
Quando il bene dell’altro è bene comune.
“Nessuno si salva da solo”. Quante volte lo abbiamo sentito ripetere, soprattutto da Papa Francesco, dalla pandemia in poi. Per qualche mese, costretti all’isolamento e a fare i conti con le nostre fragilità, ci siamo resi conto che senza le relazioni, senza altre persone con cui interagire, parlare, discutere ecc… siamo incompleti, per un po’ abbiamo attribuito all’altro un valore inestimabile, indispensabile, per cancellare la solitudine non voluta in cui eravamo piombati. Oggi, a distanza ormai di anni, se ci guardiamo attorno le cose non sembrano essere tanto cambiate, ciò che spesso sembra contraddistinguere ormai la nostra cultura è la mentalità di pensare solo a salvaguardare sé stessi o il proprio gruppo, i propri problemi e i propri interessi, mentre tutto il resto non conta. Non c’è tempo per pensare agli altri, se mi fermo per aiutare qualcuno, questo mi rallenta, è un ostacolo nel mio cammino. È la sfida che pure il Signore si è trovato ad affrontare durante la crocifissione: nella massima espressione d’amore e di dolore si sente rivolgere l’esortazione: “Salva te stesso”. Sappiamo bene com’è andata: Dio segue sempre un’altra logica.
Anche il Vangelo di questa domenica, sembra andare controcorrente e introduce il tema della correzione fraterna, una faccenda spesso vissuta male all’interno delle relazioni, che in molti casi degenera in due estremi: o nel disinteresse reciproco oppure nell’uso delle parole per colpire duramente chi ci sta accanto.
Qui Gesù sembra invece offrire una sorta di istruzioni d’uso per vivere al meglio le relazioni comunitarie, soprattutto quando ci sono certi momenti di crisi.
“Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano”.
Il criterio che suggerisce Gesù è quello della gradualità: dopo aver tentato prima a quattr’occhi, poi con la mediazione di altri, lo si presenti all’assemblea, affinché il suo amore per i fratelli lo spinga a rivedere i suoi atteggiamenti. La comunione tra due e più persone è un dono così prezioso, che è necessario tentare tutte le soluzioni possibili prima di decretare la fine di una relazione. Senza tutto questo, probabilmente la correzione fraterna diventerebbe un mero giudizio, e non l’espressione di un atteggiamento di cura, di interesse per l’altro.
Prendersi cura di chi non ci riguarda strettamente da vicino, oggi non va molto di moda, implica portare insieme una responsabilità. In tal senso la correzione fraterna diventa segno di grande amore, ed è possibile solo all’interno di comunità dove ognuno è accolto con i suoi limiti, senza giudizi. Non ci viene chiesto di essere giudici della vita altrui, ma di avere uno sguardo di cura e attenzione, per accorgersi delle mancanze dei propri fratelli e prendersi l’impegno di affrontarle assieme. Un fratello che sta male, che sbaglia è come un membro di te che sta male. È l’espressione più alta della carità. “Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo”. La Chiesa è una comunità dove le persone sono responsabili della fede delle altre persone, e ad essa viene attribuito lo stesso potere di Pietro che è lo stesso del Signore: rendere presente sulla terra il giudizio del Padre, che non vuole perdere nessuno dei suoi figli.
Gesù sottolinea ulteriormente la preziosità della comunione tra i due, da essere così potente che può ottenere qualunque cosa da Dio, quando dice: “Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Quando siamo in comunione gli uni con gli altri, la nostra preghiera può tutto. Essere comunità non è quindi opzionale per la vita di fede, anzi diventa una necessità. L’altro mi aiuta ad uscire dal mio egoismo costitutivo, mi obbliga ad uscire da me, per essere costruttore di comunione. Spesso ciò che impedisce delle relazioni fraterne, all’interno delle grandi comunità è la tentazione di voler assolutizzare le proprie ragioni e le proprie idee, senza dare spazio e libertà agli altri, oppure dare a chiunque un’etichetta, togliendo all’altro la possibilità di cambiare e migliorarsi e infine molto spesso gli altri ci costringono a cambiare passo, ad andare ad una velocità diversa dalla nostra, se non vogliamo ritrovarci alla méta da soli. E così ci viene richiesto anche lo sforzo di aspettare chi è rimasto indietro e ha bisogno di più tempo. In cambio però avremmo riguadagnato un fratello.
Così questo breve brano ci invita a leggersi dentro e a chiedersi:
Bibliografia: