Lun, 12 Sep 22 Lectio Divina - Año C
La festa della Santa Croce è strettamente legata alla basilica costantiniana del Santo Sepolcro a Gerusalemme: secondo le antiche fonti il 14 settembre 320 fu esposta e adorata per la prima volta la reliquia della croce. In Oriente questa ricorrenza venne celebrata sempre con grande solennità. Il mistero celebrato è quello del Venerdì Santo: la croce di Cristo è il segno più alto dell’amore di Dio per l’umanità.
Nella prima lettura il popolo inveisce contro Dio e contro Mosè perché il viaggio sta diventando insopportabile, per la durata e per i disagi; il popolo disprezza addirittura il cibo offerto da Dio e rimpiange l’Egitto: la fatica del viaggio fa dimenticare il grido innalzato a Dio nella schiavitù e la precarietà che il deserto impone rende addirittura desiderabile la precedente condizione di schiavitù, in cui almeno la sopravvivenza era garantita. Il narratore riferisce allora la punizione inflitta da Dio al popolo: l’invio di serpenti velenosi. L’aspetto singolare di questo episodio è che la calamità sarà superata solo da coloro che dimostreranno di confidare nella fedeltà di Dio; il Signore promette che chiunque “guarda” il serpente di bronzo vivrà. Lo stesso animale che provocava la morte, ora diventa simbolo di vita, che per grazia è ridonata a coloro che si affidano al Dio di Israele. Non è il serpente a donare la vita, ma la grazia di Dio, a coloro che, guardando il serpente, dimostrano di riporre la loro speranza non nelle proprie forze, ma nella misericordia di Dio.
v.13: È posta fine alla inaccessibilità di Dio mediante il fatto che il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo attraverso il mistero dell’incarnazione del Signore. Ogni accessibilità che Dio ci concede è resa possibile dal mistero dell’incarnazione, dal suo farsi carne. Dunque, l’origine di Gesù è in Dio; di conseguenza ora Egli è il tramite indispensabile per accedere al mistero di Dio. L’opera di Dio in Gesù non ha tuttavia solo una finalità conoscitiva: essa è in grado di realizzare un’autentica trasformazione dell’essere umano, perché lo guarisce dalla sua distanza da Dio e lo rimette di nuovo in comunione con lui.
v.14: Il cammino del deserto, tra l’Egitto e la terra promessa, è diventato uno dei principali simboli biblici della vita umana. Esso è narrato come un “uscire da”, un “camminare attraverso” e un “entrare in”. Il luogo da cui si esce, l’Egitto, ha nella Bibbia il senso di terra straniera, esilio, schiavitù, peccato; la meta dove si giunge, la terra di Canaan, è simbolo di terra promessa, luogo in cui Dio abita, vita di comunione con Dio. Il deserto è simbolo di condizione transitoria, tempo intermedio, cammino verso...
Ora, questo luogo, tempo o condizione è segnato da ostacoli, ribellioni, disobbedienze, ma anche da conversione e aiuto divino. In questo contesto si colloca l’episodio del serpente. Nel significato biblico originale il serpente innalzato rappresentava il segno del perdono di Dio, che ridonava la comunione e quindi la vita a chi, dopo la ribellione, si pentiva e si rivolgeva con fiducia al Signore. La ribellione porta morte; tornare ad obbedire al Signore, avendo fiducia in Lui come liberatore, ridona la vita.
Anche il vangelo mette in evidenza la volontà salvifica di Dio; tuttavia il riferimento è al concreto innalzamento del Figlio dell’uomo, come mostra il verbo “bisogna” (dèi). C’è una condizione propria di Gesù ed è quella che Egli “deve” compiere: l’innalzamento. Questo vuol dire che la condizione di coloro che “devono” è condizione che li pone in grado di aprirsi al mistero stesso di Dio. Coloro per i quali si può dire che “devono”, che “bisogna”, sono coloro che sono una cosa sola con il Signore, perché Gesù interpreta la loro condizione come condizione che lui ha avuto davanti a Dio.
Gesù risponde alle obiezioni di Nicodemo: la generazione per mezzo dello Spirito può avvenire solo come risultato della crocifissione, risurrezione e ascensione di Gesù. Il tema dell’innalzamento sarà ripreso dal quarto vangelo anche in 8,28 e 12,32-34, dove risalta maggiormente il collegamento tra innalzamento e morte in croce. Ma l’innalzamento cui Gesù si riferisce non implica solo la crocifissione: con la croce ha inizio un movimento che porta al definitivo innalzamento, cioè l’ascesa al Padre. La croce di Gesù, allora, non ci ottiene soltanto la remissione dei peccati, ma ci apre la strada per il ritorno alla comunione di vita con Dio. Se, attraverso l’incarnazione, Dio è entrato nel mondo e si è aperto il movimento di discesa di Dio verso l’uomo, ora, con l’innalzamento del Figlio dell’uomo, si opera il movimento di ascesa verso il Padre: in Gesù è aperta, per l’umanità, la via di ritorno alla comunione con Dio.
Attraverso l’innalzamento di Gesù, Dio vuole attirare a sé l’umanità intera.
v.16: Dio ha amato il mondo. Secondo la visione della Bibbia c’è all’origine del mondo una benedizione di Dio. Quando Dio ha creato il mondo lo ha anche benedetto e quella benedizione voleva dire approvazione del mondo. Ora, questa benedizione non è stata ritirata, Dio non l’ha tolta nemmeno a causa del peccato: nemmeno la punizione del peccato, nemmeno l’esperienza del diluvio hanno cancellato questa benedizione originaria di Dio nei confronti del mondo e dell’uomo; anzi, la storia la si può descrivere proprio come rinnovato dono di questa benedizione. Quando Dio chiama Abramo e quindi lo sceglie, manifesta ancora la gratuità del suo amore, almeno nella concezione biblica. Abramo non viene chiamato perché migliore degli altri, ma perché Dio vuole benedire l’umanità. E quando Dio sceglie Israele il motivo è lo stesso. Se Dio sceglie Israele è per una gratuità assoluta del suo amore. Dio ha tanto amato il mondo da benedirlo fin dalle origini, nella creazione.
Per “mondo” non si deve intendere la creazione buona, santa e bella, ma l’umanità peccatrice, l’umanità ribelle, l’umanità che ha rifiutato Dio. Questo ‘mondo’ che gli era nemico, Dio lo ha amato e lo ha amato in un modo così serio da donare il suo Figlio unigenito.
Quando si dice che Dio ha donato il suo Figlio unigenito, il senso è che Dio ha donato se stesso nel suo Figlio, ha donato la ricchezza della sua vita e del suo amore. In Dio, amare e dare vengono a coincidere. Amare vuol dire dare. Il dare è il modo di essere di Dio. Se per il Figlio dell’uomo “bisogna”, per Dio si tratta di “dare”. Dal dare di Dio si misura il suo amare il mondo. Se consideriamo che il mondo è tutto ciò che si oppone a Dio, allora capiamo bene come, nei confronti di ciò che si oppone a lui, Dio si sia posto come colui che dà e che, nel suo Figlio, “si dà”, cioè dona se stesso.
v.17: In questo versetto ci viene dato il contenuto della nostra fede, che è questo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Il credere in Lui è il credere all’amore con cui Dio ha amato il mondo. La fede ci porta a credere e a sapere il mondo amato fino al punto che Dio, per esso, ha donato suo Figlio. Il mondo quindi non è condannato; per questo mondo Dio non ha esitato a dare il suo Figlio unigenito.
La luce della risurrezione e dell’incarnazione illuminano la scena della crocifissione. Gesù è risorto e asceso al cielo perché di là era venuto. Allora, Gesù innalzato sulla croce non è un giustiziato, un abbandonato da Dio: è la manifestazione più grande dell’amore di Dio agli uomini. In Gesù Dio dona se stesso al mondo, dona la sua stessa vita, perché l’uomo possa essere fatto partecipe della vita divina, della comunione eterna con Lui.