XIII Domenica del Tempo Ordinario

XIII Domenica del Tempo Ordinario

Seg., 26 Jun. 23 Lectio Divina - Ano A

La liturgia di questa domenica XIII del tempo ordinario si apre con l’antifona d’ingresso tratta dal salmo 46, 2 che si pone come il LA di fondo del contesto in cui tutta la liturgia si muove: Popoli tutti, battete le mani,acclamate a Dio con voci di gioia. Sì, lo sguardo del credente è spinto oltre i propri confini e territori, perché la Parola si espande e vuole raggiungere tutte le genti per portare la gioia piena del Vangelo. La pericope di Matteo che ci viene offerta oggi completa e conclude il capitolo decimo dedicato al cosiddetto “discorso missionario”. Gesù invia per una esperienza di missione i dodici discepoli che da qualche tempo aveva chiamato e condividevano la vita con lui. Essi hanno ascoltato e accolto nelle ‘beatitudini’ la novità centrale del suo messaggio; essi hanno visto le opere che ha compiuto in favore delle persone bisognose (Mt 8-9). Ora manifesta la sua fiducia nei discepoli, accordando loro la sua stessa autorità, perché continuino l'opera che Egli ha iniziato, missione che i discepoli sono chiamati a continuare anche dopo la sua risurrezione. Inviati ad annunciare che il Regno dei cieli è vicino, i discepoli devono farlo in modo libero, gratuito e con uno stile di vita semplice che esprime la loro totale fiducia in Dio. Non sarà facile: Gesù mette in guardia i suoi discepoli che troveranno molti a cui non interessa il loro annuncio e anche molti che li ostacoleranno. Ciò non deve sorprenderli, non è segno che non sono assistiti da Dio; anzi, visto che anche Gesù è stato osteggiato, il discepolo non può avere una sorte diversa da quella del suo maestro. A loro è chiesto di rimanere fedeli al compito ricevuto, anche quando l'opposizione può venire addirittura dai membri della propria famiglia.

Perché l’annuncio possa giungere a segno, c’è una parola chiave che lo accompagna: accoglienza. Non è sufficiente che Dio invia i suoi messaggeri, i suoi discepoli/apostoli ad annunciare se non c’è un destinatario che lo riconosce e ne beneficia. Nella prima lettura, tratta da 2 Re 4, ciò accade nella vita di una donna ricca di Sunem che, insieme a suo marito, accoglie il profeta Eliseo nella propria casa riconoscendolo come ‘uomo di Dio’. La loro accoglienza è fatta di premura e di delicatezza, fino ad adattare gli stessi spazi della casa per ricavare un luogo riservato in cui il profeta possa sostare e ritirarsi a suo agio, per mettersi alla presenza di Dio ed ascoltare la sua voce. Riconoscere l’altro e fargli spazio come un dono, una presenza di Dio, comporta riconoscergli uno spazio tutto suo in cui possa essere sé stesso. La coppia che accoglie Eliseo non teme di perdere qualcosa di proprio, non trattiene per sé, non è avara nel dono, ma fa tutto quello che è in suo potere nell’essere ospitale come, appunto, accogliesse Dio stesso. E il Signore non si smentisce nel suo dono fecondo verso di loro: essi sono sterili, non hanno avuto figli che, nella mentalità ebraica era come sottostare ad una maledizione. Per bocca del profeta, Dio stesso accoglie e risponde al desiderio profondo nascosto nel dolore muto dei loro cuori: la mancanza di un figlio. Eliseo annuncia alla donna che l’anno che verrà lei sarà madre. Da qui, prorompono le parole del salmo 88, che canta la misericordia di Dio.

Il trinomio accoglienza/perdita/ricompensa riappare più esplicito nel Vangelo, in cui Gesù riconosce come ciascuno è il tramite per l’accoglienza di uno più grande di sé: nel discepolo accolto viene accolto Gesù, e nell’accoglienza di Gesù viene accolto il Padre. Questo dinamismo può toccare punte di radicalità molto alte, fino al dono totale della vita che, solo in una logica mondana, può essere trattenuta per il timore di perderla, quando non è significata con il filtro della croce, cioè, con il dono dell’amore più grande fino alla fine. Che cos'è la croce nella logica di Matteo? È infatti la capacità di abbandonarsi a Dio, è lasciar cadere la pretesa di guadagnarsi la vita da soli. Ne consegue che la vera lotta in noi non si consuma tra il primato degli affetti più cari (parenti e amici) rispetto all’amore per Gesù, ma nella scelta libera e consapevole di decentrarsi dal proprio io per confermare la centralità assoluta di Dio. In questo sta prendere la propria croce, perdere la propria vita per causa sua e seguire Gesù. La ricompensa che ne deriva è la benedizione che sgorga dal cuore amante del Padre; è la grazia di vedere con i nostri occhi la possibilità reale di camminare in una vita nuova, come ci presenta Paolo nella seconda lettura (Rm 6). Nel battesimo, infatti, ci è stata data la grazia di entrare nella morte di Gesù, attraversarla e, risorti con lui, camminare in una vita nuova, la vita dello Spirito in noi.

Alla luce di questa liturgia possiamo interrogare ora la nostra vita:

  • Sono una persona accogliente o temo di perdere qualcosa di me, di mio, per cui misuro il mio dono, trattengo il dono di me?
  • Nella mia relazione con Dio, mi slancio fiducioso/a verso di lui o mi difendo?