Seg., 14 Ago. 23 Lectio Divina - Ano A
NESSUNO ESCLUSO
La liturgia di questa domenica è tutta un grande respiro universale, uno sguardo allargato al progetto di Dio che vuole salvare tutta l’umanità e donare a tutti gioia e pace.
Gesù, con la sua venuta, ha rivelato il volto del Padre ricco di misericordia che da sempre ama tutti i suoi figli e che ha voluto che la Chiesa, da Lui fondata, fosse lo strumento per la salvezza di tutta l’umanità.
“Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52)” (LG,13).
Commentando questo passo della Lumen Gentium, la Venerabile Madre Maria Oliva Bonaldo, Fondatrice delle Suore Figlie della Chiesa, scrive: “L’articolo 13 insiste sull’unità del Popolo di Dio per dedurne l’universalità: un solo popolo, e tutti sono chiamati a formarlo. È unico e universale. Vi è chiamato il credente come l'ateo, il santo come il bestemmiatore. Sono chiamati i nostri cari come gli ignoti e i lontani. C’è un Cuore che chiama tutti, perché ama tutti e vuole dare a tutti la sua gioia. Il principio dell’unità del Popolo di Dio e della sua universalità è l’Amore universale di Dio, che tutti ci abbraccia perché siamo tutti “unum” e tutti amore. (…) La vocazione all’unità esclude ogni esclusione. Le braccia divine si estendono oltre le dimensioni dello spazio e del tempo: abbracciano tutto il mondo e tutti i secoli. Siamo stati creati un’unica natura per quest’unico abbraccio”.
In questa cornice meditiamo il brano del Vangelo secondo Matteo (Mt 15, 21-28).
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione...
Gesù usciva… una donna usciva…
Azione normale, a volte desiderata, altre volte forzata, a volte necessaria o inevitabile… un’azione a cui ci invita spesso Papa Francesco per contrastare ogni tipo di chiusura, materiale e spirituale. Uscire! Così Gesù usciva da una terra in cui aveva predicato e guarito e consolato e non era stato accolto: malintesi, invidie, tranelli cercano di ostacolare il pellegrinaggio del maestro buono. Gesù non risponde alle loro aspettative né la folla riesce ad “uscire” dai propri schemi e progetti per aprirsi alla novità di questa persona che porta un messaggio di pace e felicità contrario alle logiche mondane che circolavano. “Là” Gesù aveva avuto una controversia con scribi e farisei venuti da Gerusalemme (cf. Mt 15,1-9): il rifiuto e la persecuzione violenta erano prospettive sempre più vicine per Gesù. Egli dunque usciva per allontanarsi da quella folla, per ritirarsi in solitudine, silenzio e preghiera, come spesso amava fare, e ascoltare la voce del Padre, discernere e fare la Sua volontà; usciva perché si preparava per Lui un incontro importante. Esce dalla terra santa d’Israele verso i territori di Tiro e Sidone, periferia lontana abitata dai lontani, coloro che non conoscevano il Dio d’Israele, il Dio vivente; terre di idolatri, considerate dagli ebrei luoghi di perdizione.
Anche una donna usciva… è una donna cananea, proveniente da quelle terre pagane, impure... una straniera, dunque. Costei, donna senza nome, esce da quelle zone senza Dio e si dirige verso il Figlio di Dio. Cosa muove ad andare contro le proprie usanze e ideologie, a rischiare di essere vista, riconosciuta e schernita o bandita, comunque giudicata? Chi può essere tanto affidabile da far tentare un’impresa impossibile? A queste domande risponde il grido stesso della donna:
…si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio».
Questa donna, che aveva una figlia posseduta da uno spirito impuro, va verso Gesù gridando, implorando a voce alta e in modo insistente, quasi come un cane. “Pietà di me” è il grido disperato di una madre che vede soffrire la sua figlioletta, il grido di una sofferenza personale perché impotente di fronte alla violenza della malattia, il grido di disperazione che non conosce più il pudore e disdegna il rispetto umano, pur di aggrapparsi all’ultimo filo di speranza che intravede.
La fama di Gesù era certamente diffusa anche fuori Israele e questa donna ne aveva sentito parlare e probabilmente ne era rimasta affascinata; lo riteneva una persona a cui potersi affidare. E così questa donna grida insistentemente per farsi ascoltare.
Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Un grido è sentito da tutti; certamente Gesù lo sente ma non risponde, sembra ignorarla, tace. È noto che nella cultura religiosa del tempo era ritenuto sconveniente per un rabbi l’incontro con una donna, ancor di più con una straniera. D’altra parte si stava ripetendo proprio lo schema dal quale si era allontanato: Gesù si stava ritirando da zone in cui non lo avevano compreso e lo consideravano un guaritore. Non meraviglia questo silenzio, o meglio quest’attesa silenziosa prima dell’ascolto della Parola di vita, se proseguiamo nella lettura del testo.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!».
I discepoli odono il grido e interpellano il Maestro perché si fermi e ascolti quella donna. Questo gesto di mediazione tra il bisogno di una donna sofferente e l’intervento di Gesù può essere letto in due modi. Da una parte, sentiamo l’empatia dei discepoli col dolore della donna, una compassione che si fa desiderio e ricerca di aiuto; dall’altra li vediamo insofferenti, stanchi e infastiditi da tanto rumore insistente che li segue, interessati a non essere disturbati, chiusi nel proprio bisogno di seguire da vicino il Signore. Già altre volte si sono comportati come “guardie del corpo” di Gesù, quasi ostacolando il suo cammino, fraintendendo la sua missione e la sua volontà; e sono stati sempre momenti educativi importanti, parabole di vita vera da cui trarre luce per comprendere meglio la rivoluzionaria persona del Maestro Gesù e il suo messaggio.
Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Una risposta inaspettata sulle labbra di Gesù, quasi più consona ai discepoli, al loro orgoglio giudaico nei confronti di quella che non solo era una donna ma anche straniera. In quel momento storico, e secondo l’intenzione dell’evangelista Matteo, Gesù era interessato a predicare tra i Giudei, non tra i Gentili, a confermare che Egli era il Messia atteso da Israele, il Figlio di Davide, il Cristo; al popolo d’Israele era stato infatti promesso un Re che lo avrebbe liberato e avrebbe governato con giustizia. Quindi nella risposta di Gesù è chiaro che la sua missione era primariamente rivolta ai Giudei. In Mc 7,27 è più chiaro che c’è un “prima”, l’annuncio ai figli d’Israele, e un implicito “poi”, momento in cui il messaggio evangelico sarà diffuso fino ai confini della terra.
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami».
E la donna gli si prostra davanti: riconosce l’autorità dell’uomo che le sta dinanzi e la sua piccolezza, intuisce la forza che proviene da Lui e ci crede tanto da mostrarlo con l’atteggiamento del servo, dello schiavo di fronte al suo padrone. Sembra quasi di sentire le parole del salmo “Ecco, come gli occhi dei servi guardano la mano del loro padrone,come gli occhi della serva guardano la mano della sua padrona, così gli occhi nostri sono rivolti al Signore, al nostro Dio, finché egli abbia pietà di noi (Sal 123,2)”.
La donna straniera chiama Gesù: “Signore! (Kýrios)”. Una madre in pena per la propria figlia non si arrende. Si prostra dinanzi a Lui: e il grido si fa preghiera.
«Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Questa cruda risposta è in linea col pensiero “nazionalistico” spiegato prima. Gesù, figlio della cultura del suo ambiente, etichetta la donna con termini tipici del linguaggio ebraico: “cane infedele” (“cani” era un termine dispregiativo con cui gli ebrei indicavano le genti: cf. Mt 7,6; Fili 3,2; Ap 22,15). Anche se il linguaggio può sembrare eccessivo, la distinzione figli-cani (Giudei-Gentili) sembra essere conosciuta; infatti è accolto dalla donna, che non reagisce offendendosi ma risponde riconoscendo lo status attribuitole da Gesù con una certa dignità. Al di là delle parole, infatti, emerge l’intenzione del dialogo: la saggezza umile della donna la rende strumento divino per un nuovo importante insegnamento. La sua richiesta poteva essere secondaria rispetto alla missione di Gesù, ma lei avrebbe accettato anche le briciole che Egli poteva darle, certa che l’avrebbero sfamata.
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Qualche esegeta parla di “conversione” di Gesù grazie alla parresia di una donna straniera: Gesù cambia idea, si ravvede di fronte alla voce di una madre e anticipa quello che accadrà dopo la Resurrezione. Una lettura che ci riporta alla mente il brano giovanneo delle nozze di Cana, in cui la voce della Madre induce il Figlio a manifestare la sua gloria (cf. Gv 2,1-11); o ancor prima ad Abramo, che osa dialogare insistentemente con Dio per ottenere la salvezza dei giusti nella città di Sodoma; e Dio si ravvede dallo sterminio che aveva minacciato di compiere (cf. Gen 18,16-33). Siamo di fronte a un’ulteriore rivelazione del progetto del Padre dell’universalità della missione di Gesù, grazie ad una donna non appartenente al popolo di Dio. Gesù, amore senza fine, attendeva questo incontro per far emergere che la salvezza non ha confini di nessuna natura (etica, spaziale, culturale, di razza), ma passa attraverso la coscienza di ogni uomo, la sua libertà e la sua fede. E Gesù non le diede solo le briciole, ma lo stesso pane che avrebbe dato ai figli.
La chiusura del dialogo è carica di grazia: c’è la fede della donna che fa esultare di gioia Gesù, c’è una guarigione e una liberazione, c’è il riconoscimento della potenza della preghiera di intercessione e dell’amore che vince ogni timore, c’è un’irradiazione di luce che scavalca i confini della Legge, della tradizione, della proprietà esclusiva della fede e l’eco di un’antica profezia: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6).
Consideriamo anche che questo episodio è narrato a conclusione dell’insegnamento di Gesù sul puro e sull’impuro (cf. Mt 15,10-20) e prima della moltiplicazione dei pani in terra straniera (cf. Mt 15,32-39), quando il pane sarà per tutti, condiviso tra giudei e pagani.
Concludiamo con le parole di Papa Francesco che in un’omelia (8 marzo 2023) ricorda alcuni passi del decreto Ad gentes, documento del Concilio Vaticano II sull’attività missionaria della Chiesa, in cui emerge che l’amore del Padre ha per destinatario ogni essere umano: “L’amore di Dio non è per un gruppetto soltanto, no… per tutti. Quella parola mettetela bene nella testa e nel cuore: tutti, tutti, nessuno escluso. Così dice il Signore. E questo amore per ogni essere umano è un amore che raggiunge ogni uomo e donna attraverso la missione di Gesù, mediatore della salvezza e nostro redentore (cf AG, 3), e mediante la missione dello Spirito Santo (cf AG, 4), il quale, Spirito Santo, opera in ciascuno, sia nei battezzati, sia nei non battezzati. Lo Spirito Santo opera!”