Seg., 28 Ago. 23 Lectio Divina - Ano A
La pericope evangelica proposta oggi alla nostra meditazione è successiva alla Parola ascoltata la scorsa settimana, in cui Pietro ha affermato che Gesù è “il Cristo, il Figlio del Dio vivente” e Gesù gli ha risposto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.
Oggi Gesù prosegue il suo insegnamento raccontando ciò che gli dovrà succedere.
È il primo dei tre annunci che Gesù fa della sua passione e lo fa apertamente, prospettando un cammino in cui ci sarà sofferenza e morte: Gesù parla senza fare sconti, non offre facili sogni. Il suo annuncio però non è secondo il pensiero di Pietro e degli altri discepoli suoi seguaci che, invece, si attendono un Messia potente, forte e vittorioso.
Doveva soffrire molto. Questa “necessità” della sofferenza, che proviene da chi meno ci si può aspettare, cioè i responsabili religiosi del tempo, nella città Santa per eccellenza, dice un progetto di Dio che occorre abbracciare; non si tratta di un incidente di percorso, ma di una decisione voluta. Dio rivela se stesso in questo modo: è la croce il luogo in cui possiamo riconoscerlo, in cui Egli ci mostra un nuovo modo di amare, così totale e pieno da penetrare dentro il mistero della morte, e così fecondo da restituire la vita con la Risurrezione.
Questa rivelazione di Gesù però risulta talmente lontana dalle attese e prospettive dei discepoli che Pietro si ritiene obbligato a intervenire protestando; cerca di farlo in privato, con la persuasione, e si permette perfino di ammonire il Maestro, con l’audacia che gli viene dall’affetto incondizionato per Lui.
In effetti, la risposta che Gesù dà ai suoi viene percepita come una contraddizione, impossibile da accettare; specialmente a Pietro, che aveva risposto in maniera corretta sull’identità di Gesù, scoprire subito dopo che il Maestro prospetta una realtà che non corrisponde affatto alla convinzione di tutti gli Israeliti sulla figura del Messia potente e glorioso, crea un forte disagio. Per questo “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo”. Pietro infatti ha entusiasmo, fede e coraggio; si è messo a disposizione di Gesù incondizionatamente, ma è incapace di accettare le prove che Egli ha appena presentato. È disponibile a seguirlo sempre, desidera donargli la propria vita, eppure fatica ad accettare ciò che Gesù chiede. Dentro di lui c’è lotta e lacerazione interiore.
È una fatica che sperimentiamo tutti noi. Gesù ci chiede di mettere insieme la croce con la gloria, la sofferenza con l’amore, la disponibilità a donarsi con la felicità: è l’esigenza del Vangelo. È accogliere e accettare Dio per come Egli è, diverso dalle nostre aspettative.
Gesù risponde a Pietro con una parola severa: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Questa forte reazione al tentativo di Pietro di allontanarlo dalla prospettiva della croce è come una tentazione di Satana.
Dove ha sbagliato Pietro? Nel pensare con la mentalità degli uomini, coltivando un’immagine di Dio come la costruiamo noi, secondo i nostri criteri. Ma pensare così ci allontana, ci separa da Gesù e dal Padre.
Notiamo che Gesù non manda via Pietro, ma gli ordina di rimanere al suo posto: dietro a Lui, non davanti, con la pretesa di indicargli il cammino. A Pietro - e a ciascuno di noi - non viene chiesto di lasciare qualcosa per seguire Gesù, ma di lasciare l’idea sbagliata che ci siamo fatti di Dio, purificando le motivazioni della nostra fede per continuare nel cammino intrapreso.
È una proposta di discernimento che ci invita a interrogarci: chi è Gesù per me e per la mia esistenza? Occorre stare dietro a Gesù, seguirlo sulla via del dono di Sé, senza distoglierLo dalla missione per cui è venuto.
Il volto autentico di Dio lo ritroviamo solo in questo donarsi tutto, fino alla fine.
Infatti nel testo evangelico Gesù prosegue rivolgendosi a tutti i discepoli e spiegando loro le esigenze della sequela: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Sono due le condizioni: il rinnegamento di sé e l’accettazione della croce.
Ci è chiesto anzitutto di ripudiare con decisione una certa immagine che ci siamo fatti di noi e di Dio; chi è centrato solo su di sé e su ciò che ha, ritenendosi autosufficiente e centro del mondo, non riesce a fare spazio a Gesù e a seguirlo. Invece il discepolo che si fida di Lui e si affida a Lui sa anche perdere, consegnarsi, abbandonarsi.
La seconda condizione: “prendere la propria croce” è la consegna di se stessi ad una logica di amore, come è stato per Gesù. La croce non è soltanto accogliere la sofferenza, è molto di più: significa portare il peso dell’amore, vivere la vita con quell’amore che va fino in fondo, fino alla fine (Gv 13,1). Anche noi, seguendo Gesù, possiamo imparare ad accogliere gli altri, ad avere con loro relazioni umane autentiche, a riconoscere in ciascuno la presenza del Signore; e così sperimenteremo la vera felicità, daremo il vero senso alla vita, perché la croce è la forma dell’amore oblativo, dell’amore pasquale.
Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Qui Gesù mette in gioco la nostra identità di discepoli: su che cosa fondiamo la nostra vita?
Siamo tutti tentati di “costruirci” da noi stessi, davanti a Dio e agli altri; ma è solo perdendo l’immagine che abbiamo di noi stessi che ritroviamo la nostra vita in maniera autentica.
Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? L’uomo e la donna riusciti, secondo il Vangelo, non sono quelli che hanno successi e riconoscimenti, ma coloro che, entrando in relazione piena con Gesù, condividono il suo stesso stile di vita, che trova nel dono di sé la via dell’amore.
Per la riflessione personale